Diventare un'impresa 4.0
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Siamo entrati nel pieno della quarta rivoluzione industriale, destinata a modificare radicalmente il modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo. E di conseguenza il modo di pensare.

Anche in Italia è scattata l'ora dell'Industria 4.0, quella dello Smart Manufacturing.

In uno scenario internazionale in cui diversi Governi hanno già varato piani per la digitalizzazione del comparto manifatturiero, le imprese Italiane hanno iniziato a investire in tecnologie come Internet of Things, Big Data e Cloud computing, sistemi di produzione automatizzati (Advanced automation), dispositivi wearable e nuove interfacce uomo/macchina (Advanced Human Machine Interface) o stampa 3D (Additive manufacturing).

E va subito detto che lo Smart Manufacturing in Italia conosce un buon fermento: sono state individuate 135 applicazioni in ambiti molto diversi all'interno di 43 aziende manifatturiere anche se, rispetto alla grande accelerazione a cui si assiste nel mondo, l'adozione nel nostro Paese appare rallentata da fattori di contesto, culturali, organizzativi e dalla capacità di offerta.

Oltre a ciò, l'Italia - secondo Paese manifatturiero d'Europa - ha bisogno di un programma nazionale dedicato per lo meno vicino a quello sviluppato In Germania: un programma di cui si inizia a parlare solo ora e la cui assenza è stata solo in parte mitigata da progetti di ricerca di stampo consortile sviluppatisi dal basso.

Come tutte le grandi trasformazioni è collegata ad una grande innovazione tecnologica. Ripercorrendo le tappe, la prima risale al 1784, con la nascita della macchina a vapore.

La seconda nel 1870 con il via alla produzione di massa attraverso l’uso sempre più diffuso dell’elettricità, l’avvento del motore a scoppio e l’aumento dell’utilizzo del petrolio come nuova fonte energetica. La terza nel 1970 con la nascita dell’informatica, dalla quale è scaturita l’era digitale destinata ad incrementare i livelli di automazione avvalendosi di sistemi elettronici e dell’IT (Information Technology).

Ed eccoci ad oggi. Anche se la data di nascita non è ancora stabilita, e solo a posteriori sarà possibile indicarne l’atto fondante. Intanto però si può storicizzare l’origine del termine.

L’espressione “Industria 4.0” è stata usata per la prima volta in Germania alla Fiera di Hannover nel 2011. A ottobre 2012 un gruppo di lavoro, presieduto da Siegfried Dais della multinazionale di ingegneria ed elettronica Robert Bosch GmbH e da Henning Kagermann della Acatech (Accademia tedesca delle Scienze e dell’Ingegneria), presentò al governo federale una serie di raccomandazioni per la sua implementazione. L’8 aprile 2013 fu diffuso il report finale, da cui già si poteva dedurre come l’Industria 4.0 avrebbe in
breve attivato il nuovo processo destinato a ridelineare e rimodellare tutta la catena produttiva. In seguito il termine si è diffuso a livello internazionale.

È stata la multinazionale di consulenza McKinsey a delineare a grandi linee le quattro direttrici di sviluppo legate alle nuove tecnologie digitali. La prima riguarda l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività, e si declina in big data, open data, Internet of Things, machinetomachine e cloud computing per la centralizzazione delle informazioni e la loro conservazione.

La seconda è quella degli analytics: una volta raccolti i dati, bisogna ricavarne valore. Oggi solo l’1% dei numeri rilevati viene utilizzato dalle imprese, che potrebbero invece ottenere vantaggi infiniti a partire dal “machine learning”, dalle macchine cioè che perfezionano la loro resa “imparando” dai dati raccolti e analizzati.

La terza direttrice di sviluppo è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce “touch”, sempre più diffuse, e la realtà aumentata. Per fare un esempio la possibilità di migliorare le proprie prestazioni sul lavoro utilizzando strumenti come i Google Glass.

Infine c’è tutto il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale” e che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machinetomachine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.

Così come dalla ricerca “The Future of the Jobs”, presentata al World Economic Forum, emerse che questi fattori tecnologici, combinati con quelli demografici, saranno quelli destinati davvero a cambiare il mondo della produzione.

Alcuni (come la tecnologia del cloud e la flessibilizzazione) stanno influenzando le dinamiche già adesso e lo faranno sempre di più nei prossimi 23 anni. Si calcola che l’effetto immediato in Europa sarà la creazione di 2 nuovi milioni di posti di lavoro, anche se contemporaneamente ne spariranno 7, con un saldo netto negativo di oltre 5 milioni di occupati scomparsi. In questo calcolo preventivo l’Italia ne esce con un pareggio (200mila posti creati e altrettanti persi), comunque meglio di altri Paesi come Francia e Germania. Le perdite si concentreranno nelle aree amministrative e della produzione: rispettivamente 4,8 e 1,6 milioni di posti svaniti.

Ma secondo la stessa ricerca verranno compensati ben presto dall’area finanziaria, il management, l’informatica e l’ingegneria.

E vengono a cambiare di conseguenza le competenze e abilità ricercate: nel 2020 il problem solving (il risolutore di problemi) rimarrà la qualità più ricercata, ma, la cosa per certi versi più strabiliante e nuova, è che sono destinati a diventare sempre più importanti il pensiero critico, la creatività e l’originalità assoluta.

Qualità, quest’ultime, fino ad oggi non molto apprezzate da un mercato che si è mosso su binari unici e che spesso, pur di non mettersi in discussione, ha perfino penalizzato la meritocrazia.

Dunque, se volessimo a questo punto tradurre con una semplice formula l’Impresa 4.0, basterebbe definirla una realtà “aumentata”, in divenire, frutto di una mutazione cromosomica, genetica, metamorfica, legata soprattutto all’utilizzo della Rete, ma che guarda con interesse anche alle risorse umane e al contributo personale di ogni soggetto.

«Siamo in presenza di uno scenario in rapida evoluzione, dobbiamo attrezzarci per cogliere i benefici dello Smart Manufacturing, l’innovazione digitale nei processi dell’industria» - afferma Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, secondo il quale «nel mediolungo termine salirà in maniera esponenziale il numero degli occupati, considerato anche l’impatto nell’indotto, in particolar modo nel terziario avanzato».

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